Bohemian Rhapsody (biografico, GB/USA, 2018) regia di Bryan Singer e Dexter Fletcher. Con Rami Malek, Lucy Boynton, Gwilym Lee, Ben Hardy, Joseph Mazzello, Aidan Gillen, Tom Hollander, Allen Leech, Mike Myers, Aaron McCusker
Joseph Mazzello, Rami Malek, Ben Hardy e Gwilym Lee sono i Queen
Londra, 1970. Farrokh Bulsara (Malek), giovane londinese di origine parsi, vive per la musica cui dedica buona parte del tempo libero, contro il volere paterno. La sua verve e una voce unica per estensione vocale convincono un giorno il chitarrista Brian May (Lee) e il batterista Roger Taylor (Hardy) a ingaggiarlo. E assieme al bassista John Deacon (Mazzello) formano una band: nascono i Queen e con loro Freddie Mercury.
Insieme iniziano a esibirsi nei locali inglesi dove incontrano John Reid (Gillen), il talent scout che fa loro ottenere il primo contratto con una delle principali case discografiche. “Il carisma e la voce di Mercury, l’abilità musicale dei suoi compagni e il piacere del gruppo per la sperimentazione portano nel 1975 al singolo capolavoro Bohemian Rhapsody, che causa però la rottura con Ray Foster (Myers), dirigente della Emi”: prima licenza di un film in cui “la realtà storica è ampiamente disattesa” (Mereghetti).
Di lì, l’ammissione della bisessualità prima, omosessualità poi – con relativa discesa agli inferi (o almeno così viene descritta nel film) – la tentata carriera da solista, e il ritorno su una via che porta dritta al Wembley Stadium di Londra dove il 13 luglio 1985 i Queen donano al Live Aid una performance da leggenda. Nonostante Freddie avesse rivelato ai compagni, poco prima di salire in scena, la diagnosi di AIDS di cui morirà sei anni dopo.
Bohemian Rhapsody, nato sotto i peggiori auspici, e dalla realizzazione a dir poco travagliata, ha costretto Rami Malek a recitare con una protesi a riproduzione dell’anomala dentatura di Mercury; e a confrontarsi con un artista definito un mix di talento, audacia, genialità, arroganza e insicurezza; con doti di pianista, chitarrista, compositore, una voce da tenore lirico e una presenza scenica “atletica” oltreché carismatica. Insomma, una missione impossibile che gli è valsa l’Oscar (e con questo il film ha avuto altri 3 Oscar tecnici) e il merito di averci restituito la sua essenza ed energia, in un crescendo che culmina nell’ultima parte girata, con maniacalità del dettaglio e strepitosi effetti digitali. Col risultato di un film campione di incassi in tutto il mondo: primo in Italia nel 2018 (Mereghetti).
Bohemian Rhapsody racconta la genesi dei Queen e dell’icona Freddie Mercury. Non un biopic sulla band, né un mélo su vita, morte e musicali miracoli del suo frontman. Piuttosto una origin story da cinecomics : la mutazione di Farrokh Bulsara, londinese figlio di immigrati parsi, in un’icona. Si filma la leggenda, insomma. A portarla in scena, la performance stupefacente di Malek – effetto speciale in carne e ossa – che riporta in vita Mercury con ogni suo gesto. Unico neo del film è come vi è trattata la sua omosessualità: con un tono semplificatorio e moralista che preferisce indulgere sulla demonizzazione del sesso gay: un oscuro percorso per una malattia certa (FilmTv) in tempi in cui l'AIDS, la sindrome da immunodeficienza acquisita veicolata dal virus HIV, stava tuttavia diventando un'inarrestabile pandemia. A distanza di 30 anni, oltre a godere della musica dei Queen - e dell'indelebile ricordo di Freddie Mercury - la consapevolezza che la scienza medica ne abbia sensibilmente ridotto l'incidenza, e la mortalità nei casi.
Rami Malek miglior attore protagonista agli Oscar 2019
Antonio Facchin
Pubblicato il 24 novembre 2021 su VigilanzaTv