La casa vicina al mare

di Gianvito Lomaglio e Marco Zonetti da Racconti di Sabaudia 2020


Oggi sono tornata nella mia casa vicina al mare. Bianca, silente e imbevuta di sole, sembrava più radiosa che mai dopo un anno di lontananza. Non la vedevo da quella domenica di luglio che in una frazione di secondo ha cambiato la mia vita. Osservandola dall’esterno, nella candida perfezione della sua struttura, nessuno potrebbe mai immaginare il doloroso segreto che custodisce.

Entrando in camera da letto ho evitato di posare gli occhi sul primo cassetto del comodino. Accortezza inutile: la pistola non c’è più, requisita dalla polizia come arma del delitto. Un caso ormai chiuso. Ma non per chi conosce la verità come me.

Sono uscita sulla terrazza, respirando a pieni polmoni il profumo della brezza salmastra arricchito dalle note del mio piccolo giardino di agrumi, assediato da erbacce e sterpaglie. L’aria carica di fragranze mi ha riportato alla mente ogni frammento di quella fatidica domenica di un anno fa, quando dalla terrazza vidi Dario correre sulla spiaggia verso il suo destino. E verso il mio.

La decisione di tornare in questa casa gravida di segreti mi è venuta di getto ieri mattina. Adesso o mai più, mi sono detta dopo mesi di rimorsi e incubi notturni, domandandomi se vi sarà mai pace per una donna come me, se smetterò mai di vedere ogni notte il volto di Laura.

Domani sarà l’anniversario della tragedia e quale migliore terapia d’urto se non trascorrerlo nel luogo in cui essa si è consumata?

Ma le tragedie possono dirsi tali solo nel momento culminante, con tutte le sue conseguenze. Le tragedie si compongono di tanti piccoli episodi che da soli appaiono insignificanti ma che, sommati nel tempo, vanno a costruire il dramma. Se a teatro nel primo atto si vede una pistola, entro la fine dell’ultimo sarà usata. E la mia tragedia iniziò proprio così, in un mite pomeriggio di marzo, con quella pistola che custodivo nel primo cassetto del comodino.

All’epoca mi pareva una precauzione legittima per una vedova che trascorreva l’estate da sola in una lussuosa casa vicina al mare, possibile bersaglio di balordi e di ladri. E tuttavia, senza quell’arma, forse tutto sarebbe ancora come allora, e Dario starebbe qui con me, come lo era in quel pomeriggio di marzo, seduto al tavolo della terrazza a scrutare i dintorni con il mio piccolo binocolo di madreperla. Ricordo che lo raggiunsi e gli domandai…

«Allora, come va con la tua nuova fidanzata?»

«A volte mi chiedo come tu non abbia paura a passare i fine settimana in questa grande casa vicina al mare» rispose Dario, eludendo la domanda e continuando a scrutare la spiaggia con il binocolo. «Vada ancora in estate, quando le altre ville sono abitate, ma nella desolazione di marzo…»

«Se vuoi saperlo», ribattei con un sorriso, sedendomi di fronte a lui al tavolo della terrazza, «ho comprato una pistola che tengo nel primo cassetto del comodino. Due anni e mezzo al poligono mi hanno resa una tiratrice eccelsa… non vorrei essere nei panni di un eventuale intruso».

«Se volevi rassicurarmi, sappi che adesso mi hai preoccupato ancor di più».

«Prima hai eluso la mia domanda. Come va con la tua nuova fidanzata… Laura, giusto? Quando me la presenterai?»

Dario posò il binocolo e si passò una mano fra i capelli biondi illuminati dal sole. La brezza dei primi di marzo pareva recare con sé la dolce promessa della primavera imminente.

«Con Laura va benissimo e pensavo di presentartela al pranzo che darai qui fra due settimane».

«Di cosa si occupa?»

«È una documentarista. Ha realizzato diversi lavori per piccole tv private e mi piacerebbe che conoscesse Dettori. Magari potrebbe aiutarla a fare il salto di qualità».

A quelle parole lanciai uno sguardo alla casa poco lontana, della quale s’intravedeva l’estroso portico a metà fra la villa palladiana e il tempio greco. Marcello Dettori, stimatissimo direttore di quotidiani e indicato come prossimo amministratore delegato del Servizio Pubblico Radiotelevisivo, l’aveva acquistata due anni prima per una cifra faraonica e da allora era diventato assiduo frequentatore di quella località. Non privo di capacità e di fascino, il cinquantacinquenne Dettori era noto per essere uno squalo in àmbito professionale e uno sciupafemmine in quello sentimentale.

«Al pranzo ho invitato anche lui» ribattei.

«Bene. Dettori ti deve un favore, giusto?»

Più che altro lo doveva a mio marito Giorgio. Qualche anno prima di morire, stroncato da un male incurabile, aveva presentato Dettori al leader del suo partito, che lo aveva a sua volta sostenuto nella sua folgorante carriera.

«Era molto affezionato a Giorgio e deve a lui il suo successo. Credo non abbia nulla in contrario ad aiutare la tua Laura. Spero solo che non sia bella…».

Dario scoppiò in una risata. «Hai paura che possa provarci con lei? Be’, sappi che è innamoratissima di me e non è certo tipo da farsi irretire da un vecchio marpione come Dettori».

«Se lo dici tu. Temo solo che tu possa soffrire. Non sopporterei di vederti cadere di nuovo in depressione».

«Laura mi vuol bene, non ho il minimo dubbio. Ho intenzioni serie con lei non appena ingranerò con il lavoro».

«Potrei fare qualche telefonata per aiutarti, se solo tu volessi».

«No, preferisco farcela da solo. Pensa a Laura, se puoi».

«Non voglio fare la sorella apprensiva. Ovviamente, mi fa piacere dare una mano alla ragazza cui vuoi bene. Dille solo di stare attenta con Dettori, perché è molto pericoloso. Te lo dice una che è stata sposata vent’anni con uno squalo della politica».

«Agli ordini, capo» scherzò lui alzandosi e scattando sull’attenti. Mi fece un sorriso. Uno degli ultimi che mi avrebbe rivolto.

***

Due settimane più tardi, la mattina del sabato, tornai qui a preparare la casa in vista del mio consueto pranzo annuale di primavera. Rassettai le stanze, riempii di fiori bianchi ogni angolo e provai a pranzare in terrazza per vedere se la temperatura lo consentiva.

Il clima della terza settimana di marzo mi sorrideva e risultava perfetto per godersi il pomeriggio seduti al tavolo affacciato sul mare.

Oltre a mio fratello Dario e alla sua ancora a me sconosciuta fidanzata, avevo invitato un’amica giornalista con il marito, un deputato con la compagna, e ovviamente il famigerato Dettori, single incallito.

I primi ad arrivare, a mezzogiorno della domenica, furono Dario e la fidanzata. Sui trent’anni, bruna, occhi verdi, labbra sensuali e fisico da pin-up, Laura era troppo bella per essere vera. Mi salutò con un abbraccio affettuoso, dicendosi felice di conoscere la sorella di cui Dario parlava sempre.

Riponendo in frigorifero le due bottiglie di vino che mi avevano portato, ascoltai Laura raccontarmi del suo lavoro di documentarista scientifica per le tv private: aveva appena realizzato un reportage sulla potenziale catastrofe economico-sociale che avrebbe comportato l’eventuale scoppio di una pandemia, e, profittando dell’assenza di Dario spostatosi a bere un drink in terrazza, mi confessò il suo amore per mio fratello, lasciando intendere che era l’uomo della sua vita.

«Vi siete conosciuti solo tre mesi fa», dissi di getto, pentendomene subito. Non volevo apparire come la “sorella chioccia” della situazione.

«Noi donne sappiamo sempre quando incontriamo l’uomo giusto» rispose lei convinta.

Il rumore di pneumatici sulla ghiaia del vialetto segnalò l’arrivo di altri ospiti.

Scesi ad aprire la porta, con Laura alle mie spalle. Alto, capelli e barba castano-rossicci, in ghingheri come suo solito e una bottiglia di champagne pregiato in mano, Marcello Dettori mi salutò con due baci sulle guance, per poi posare gli occhi sulla fidanzata di mio fratello.

Feci le presentazioni. Lui le prese la mano e la baciò. Io seguii i loro gesti e i loro sguardi. Si udì il richiamo stridulo di un animale non identificato. Mi parve un nefasto presagio, che neanche l’arrivo degli altri ospiti riuscì a scacciare.

Il pranzo all’apparenza andò a gonfie vele. Gli invitati chiacchierarono amichevolmente al mite sole marzolino e sembrarono andare d’amore e d’accordo. Un po’ troppo nel caso di Laura e Dettori, che conversarono in tutta complicità come se si conoscessero da sempre.

Ai primi di aprile le elezioni videro la vittoria del partito di Dettori, che di lì a poco fu nominato amministratore delegato della ***.

Con i pieni poteri a lui conferiti, una delle sue prime azioni fu quella di assegnare a Laura l’incarico di ospite fissa in un contenitore mattutino, trasformando in breve tempo l’ignota documentarista in un volto televisivo.

L’idea di andare a convivere con mio fratello fu accantonata e Laura prese a fare sempre più tardi al lavoro, adducendo il tutto a riunioni di redazione. Confessò la verità a Dario in una sera di fine giugno: Dettori l’amava perdutamente e le aveva chiesto di andare a vivere con lui. Dicendosi soggiogata da quell’uomo di potere, era intenzionata ad accettare la sua proposta. Quella sera stessa lasciò Dario.

Mio fratello mi telefonò il giorno dopo, devastato. Evitai il “te l’avevo detto” che lottava per uscirmi di bocca e consolai il mio disgraziato fratello come potevo, sorpresa che un libertino come Dettori si fosse infine innamorato. Evidentemente Laura era una donna dalle mille risorse.

Ero preoccupatissima per Dario, che sentivo sempre più depresso e avvilito. L’ennesima delusione sentimentale andava ad aggiungersi ai guai professionali di ricercatore precario. Di Laura si era innamorato davvero e il rapido voltafaccia della donna lo aveva dilaniato nel profondo.

Intanto mi ero trasferita qui al mare per l’estate e lo pregai di raggiungermi. Volevo che si distraesse, e al tempo stesso tenerlo d’occhio. Lui accettò dopo mille insistenze.

Fu un errore fatale.

 ***

È domenica e il sole sta tramontando. Sono scesa al mare, deserto dopo che gli ultimi bagnanti se ne sono andati. Soffia un vento fortissimo, come un anno fa. Era più o meno quest’ora quando, seduta sul dondolo in terrazza, vidi Dario puntare il binocolo sulla villa di Dettori e poi sulla spiaggia. Di scatto posò il binocolo sul tavolo, si alzò e si diresse alla portafinestra della mia camera da letto.

Mossa da un presentimento, mi alzai anch’io, ma non feci in tempo a raggiungerlo che lo vidi uscire con qualcosa in mano che luccicava agli ultimi raggi di sole calante.

Mi voltai e vidi il primo cassetto del comodino aperto. Trasalii e feci per fermare Dario, ma lui scese di corsa la scaletta che portava in giardino e aprì la porticina che dava sulla spiaggia. Interdetta, mi sporsi dalla balaustra e fu allora che, in lontananza, vidi sulla sabbia due figure che si baciavano appassionatamente. Dettori e Laura.

Guardai inorridita Dario correre con la pistola in pugno verso i due amanti che, ignari, continuavano a baciarsi sdraiati sulla sabbia.

Mi slanciai all’inseguimento, sperando che la sua fosse tutta scena e niente più. Non aveva mai fatto male a una mosca.

Raggiunti Dettori e Laura, spianò l’arma tenendoli sotto tiro. Si erano alzati e lo fissavano impauriti. Laura lo supplicava di calmarsi, di non fare loro del male. Arrivata a pochi metri di distanza, gli urlai di fermarsi. Mio fratello si volse a guardarmi abbassando la pistola e a quel punto Dettori balzò su di lui cercando di strappargliela.

Seguì una violenta colluttazione e partì prima un colpo, poi un altro. Dario e il suo rivale in amore piombarono al suolo, uccisi entrambi sotto gli occhi sgomenti di Laura che osservava la scena come pietrificata. In lacrime mi gettai su mio fratello cercando di rianimarlo. Invano. Tastai il polso di Dettori. Nessun battito. Laura continuava a fissare i due cadaveri attonita.

La guardai con odio e qualcosa s’impossessò di me. Ricordo di essermi sfilata la T-shirt e di averla usata per raccogliere la pistola. Quindi mi scagliai su Laura facendola cadere sulla sabbia. «È tutta colpa tua» gridai. Le puntai la pistola alla tempia e feci fuoco, uccidendola. Le misi l’arma fumante in mano e dopo averle premuto le dita sul calcio per lasciarvi le sue impronte, corsi a casa.

Escludendo che qualcuno avesse visto l’accaduto dalle ville vicine e confidando che il fortissimo vento avrebbe cancellato in breve tempo le mie impronte sulla sabbia, bruciai la T-shirt nel forno a legna in giardino, mi feci una doccia per lavare via gli schizzi del sangue di Laura e solo allora chiamai la polizia denunciando la scomparsa di Dario e della mia pistola. Avrei dovuto piangere tutte le mie lacrime e invece, come un’attrice consumata, non tradii la minima emozione. Malgrado fosse buio, gli agenti che accorsero di lì a poco non ci misero molto ad avvistare i tre corpi sulla spiaggia.

Dopo settimane d’indagini gli inquirenti stabilirono che, in uno scatto di gelosia, Dario mi aveva rubato la pistola con l’intenzione di uccidere i due amanti per poi essere colpito a morte assieme a Dettori durante una colluttazione. Sconvolta dalla morte dell’ex fidanzato e dell’uomo che, come aveva raccontato alle amiche, le aveva chiesto di sposarla, Laura doveva aver poi raccolto l’arma rivolgendola contro di sé.

Mi salvò un dettaglio cui non avevo pensato e che avrebbe potuto tradirmi. Senza riflettere, accecata dal desiderio omicida, le avevo sparato alla tempia sinistra mettendole poi nella mano sinistra la pistola. Fortuna volle che Laura fosse mancina.

Un delitto perfetto mio malgrado. Nessuno sospettò di me e si finì per accettare la comoda versione dell’omicidio-suicidio passionale.

La verità resta chiusa nella prigione del mio rimorso, assieme al mio segreto che ora lo so, come il volto di Laura la notte, mi tormenterà per sempre.

Un segreto che conosce solo lei, la mia casa vicina al mare.

Copyright by Racconti di Sabaudia 2020